Il progetto di valorizzazione dell’ingresso della sede di Macan Development e Sotheby’s Morocco si radica profondamente nell’essenza del luogo, interpretandolo come un dialogo tra tradizione e contemporaneità. Il portale diventa un simbolo, una soglia carica di significato che rielabora in chiave moderna l’archetipo dei moucharabieh dei palazzi di Marrakech. Esso non è solo un elemento funzionale, ma un dispositivo semiotico che bilancia il dualismo tra apertura e chiusura, tra la necessità di riservatezza e l’intenzione di creare connessioni visive e concettuali con il paesaggio urbano.
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Il moucharabieh, nelle sue delicate trame, si erge come una finestra sul mistero, una soglia tra il visibile e l’invisibile, tra l’interno e l’esterno. È un reticolo che vela e svela, che permette all’occhio di vedere senza essere visto, in un gioco sottile di ombre e luci. Più che una semplice struttura architettonica, il moucharabieh incarna un principio filosofico: l’arte del limite, dell’equilibrio tra apertura e chiusura, tra il mostrare e il custodire.
In esso si specchia il desiderio umano di osservare il mondo senza perderne la distanza, di proteggere l’intimità senza rinunciare al dialogo con l'altro. È, al tempo stesso, uno schermo e una finestra, un confine che non esclude ma invita alla contemplazione.
Nel moucharabieh si intrecciano la razionalità della geometria e la spiritualità dell’arte islamica, unendo ordine e armonia in una danza che sfida la materialità. È un simbolo del tempo sospeso, un prisma che frammenta la luce in mille frammenti, invitandoci a riflettere sul significato stesso di ciò che vediamo.
La griglia modulare, basata sul ritmo del pieno e del vuoto, diviene metafora di un ordine universale, in cui l’armonia nasce dalla ripetizione e dalla variazione. I materiali selezionati, come l’ottone e il noce, portano con sé un valore simbolico: l’ottone, con la sua lucentezza calda e mutevole, evoca la preziosità del dettaglio, mentre il noce, nella sua solidità, rappresenta un legame con la terra e la memoria. La lavorazione del ferro, con le sue tonalità studiate, diventa un gesto artistico, una scelta cromatica che parla di equilibrio e raffinatezza.
I muri in bejmats e tadelakt non sono semplici superfici, ma tessiture che richiamano il passato, una pelle architettonica che collega il portale alla villa esistente, fondendo storia e innovazione in un continuum estetico e temporale.
Sul lato sinistro, l’illuminazione LED non si limita a una funzione pratica, ma diventa un elemento poetico: mette in risalto le targhe delle società, conferendo loro un’aura di prestigio, mentre il numero 8, realizzato in ottone retroilluminato, assume una valenza simbolica, richiamando l’infinito e la ciclicità, unendo lusso e significato in una sintesi perfetta. L’intero progetto si configura così come una riflessione spaziale sul senso dell’abitare, dove ogni elemento dialoga con l’altro, creando una narrazione coerente e vibrante.
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